Negli ultimi anni, la guerra è diventata un'eco costante nella mia vita quotidiana. Non solo nei notiziari, ma nei discorsi con le amiche, nei pensieri improvvisi mentre si scorre un feed social o si prenota una vacanza.
Mi chiedo sempre più spesso: cosa significa essere genitori in un mondo che si divide tra chi fugge dalle bombe e chi compra su Shein?
Penso che essere genitori oggi sia un esercizio quotidiano di equilibrio tra il privilegio e la consapevolezza. Viviamo in un tempo in cui, mentre scegliamo un regalo di compleanno su Amazon, da qualche altra parte una madre chiude in fretta uno zaino per suo figlio e corre verso un rifugio. Mentre insegniamo ai nostri bambini a non litigare per un giocattolo, altri insegnano ai loro a riconoscere il suono di un allarme aereo.
Il paradosso è crudele e lampante: da una parte il superfluo, dall’altra la sopravvivenza. E questo paradosso lo si vive sempre, anche se non si hanno figli.
Ma in tutto questo, una risposta ho provato a darmela : credo che la chiave sia far capire che la pace non è un privilegio da consumare, ma una responsabilità da difendere. Essere genitori in questo tempo significa non anestetizzarsi, non smettere di farsi domande. È fare scelte che sembrano piccole – cosa compriamo, dove investiamo, cosa raccontiamo ai nostri figli – ma che in realtà sono politiche, etiche, umane. Essere genitori oggi non è solo amare i propri figli. È insegnare loro ad amare anche chi non hanno mai incontrato. Non imporre cosa è giusto o cosa è sbagliato, ma provare a farli riflettere per farli diventare gli uomini e le donne di domani.
Diventare dei “Pieri”, insomma.
Tutte queste parole, dette e ascoltate, mi hanno fatto nascere dentro un motivo musicale costante. Piero è il protagonista, un “leitmotiv”, come al cinema. Forse è colpa della settimana passata, del violinista che suona a Teheran, o forse solo del bisogno di evadere. Ma quel motivo che non mi lascia mai è "La guerra di Piero" di Fabrizio De André.
Quella canzone non parla di un conflitto specifico, ma della guerra in sé. De André non racconta un’epoca, ma un dolore universale.
Piero è un soldato qualsiasi, un antieroe malinconico che incontra un nemico e scopre che, sotto la divisa, c’è solo un altro essere umano. Le stesse paure, lo stesso cuore. Il colore dell’uniforme è l’unica cosa a separarli. Ed è proprio lì che sta la condanna: nella stupidità di certe distinzioni che cancellano l’umanità.
Guerra, conflitto o alterco: chiamatelo come volete. Ma non dimenticate la profonda uguaglianza tra gli uomini, un concetto che si perde troppo spesso.
Oggi, mentre leggevo il giornale, ho provato di nuovo sgomento. «Lo schifo non ha fine»
: così ha scritto Piero Pelù, commentando gli investimenti bellici di Daniel Ek, il fondatore di Spotify.
Un’altra guerra, un altro “Piero”, un altro antieroe che alza la voce.
Il fatto: Daniel Ek ha annunciato un investimento di 600 milioni di euro con il suo fondo Prima Materia, nella startup di difesa Helsing.
Helsing sviluppa software di intelligenza artificiale per applicazioni militari, droni come l’HX-2 e altri sistemi di difesa. È uno dei nomi emergenti nel nuovo boom del tech militare europeo, spinto dalle tensioni geopolitiche. Ek ha dichiarato che questo investimento è “la cosa giusta per l’Europa”
.



Pelù non è d’accordo : «Se avessi ancora i diritti dei miei dischi, li ritirerei subito dalla fottuta piattaforma di questo schifo di individuo».
E poi lancia un appello: «Magari se molti artisti facessero pressione, Ek potrebbe capire che esiste un’alternativa. Potrebbe investire in qualcosa di civile, invece che alimentare la merda che i nuovi dittatori ci impongono ogni giorno».
Piero si potrebbe definire “un nuovo eroe”, a modo suo.
Perché oggi essere eroe non è più inteso come un guerriero con l’armatura lucente o il condottiero sul campo di battaglia. Essere eroe oggi significa scegliere di non voltarsi dall’altra parte. Significa fare silenzio quando tutti gridano, o gridare quando tutti tacciono.
L’eroe moderno non ha bisogno di superpoteri.
Gli basta il coraggio di restare umano in un mondo che spesso premia l’indifferenza.
È chi sceglie di educare i figli alla gentilezza quando la società grida vendetta.
È chi si prende la responsabilità delle parole, delle scelte, delle conseguenze, anche quando sono scomode. Essere eroe oggi vuol dire anche rinunciare: a un privilegio, a un guadagno facile, a un like in più. È chi disobbedisce a un sistema ingiusto, chi protegge anche quando non conviene, chi denuncia anche quando fa male.
Non c’è gloria. Non c’è medaglia. C’è solo la coscienza pulita, e la certezza – fragile ma potente – di aver provato, anche solo un po’, a cambiare il mondo. Come Piero o Pelù o i nostri figli domani.
Piero, quello di De André, non voleva sparare.
Piero Pelù non vuole tacere.
E i nostri figli, forse un giorno, non vorranno più voltarsi dall’altra parte.
Tre generazioni, tre modi diversi di dire no.
Tre esempi che ci ricordano che si può scegliere: tra silenzio e parola, tra obbedienza e coscienza, tra indifferenza e umanità.
Basta avere il coraggio di restare umani e coltivare la speranza che un giorno saranno proprio loro, i nostri figli, a scrivere una canzone dal finale diverso. Una melodia che non sarà più il lamento per un soldato sepolto tra i papaveri rossi, né l'urlo di protesta di un artista indignato.
Sarà, voglio sperare, l'inno di un mondo che ha finalmente imparato la lezione. Un mondo in cui la coscienza non è più un atto di ribellione solitaria, ma il ritmo condiviso di una comunità.
Una canzone dove la parola più coraggiosa non è "no", ma un "sì" sussurrato all'altro, al di là di ogni divisa e di ogni confine.
Un "sì" all'umanità.
Grazie per aver dedicato il tuo tempo a queste riflessioni. Spero che ti abbiano offerto uno spunto per guardare il mondo e le nostre scelte con occhi diversi.
Ci ritroviamo la prossima settimana per una nuova newsletter.
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